Dall'Idi al Gemelli, quando le leggi del mercato irrompono nella sanità
Dopo i tagli alla sanità operati dal commissario Bondi anche la sanità privata è in difficoltà. Idi, San Carlo, Policlinico Gemelli. Stipendi non pagati, riduzione possibile delle prestazioni. Tutta la solidarietà ai lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro, ma alcune riflessioni sono necessarie.
Quando le leggi del mercato irrompono nell'assistenza. L'affaire dei privati accreditati e degli ospedali religiosi nel Lazio.
Grande rumore e giusta attenzione dei media per la crisi delle strutture sanitarie non gestite direttamente dalla Regione, cliniche private accreditate e ospedali religiosi classificati. E soprattutto grande attenzione, come è giusto, alle decine di lavoratori senza stipendio che rischiano di perdere il posto definitivamente.
Ma la crisi viene da lontano e da una distorta gestione pluridecennale del rapporto fra pubblico e privato.
Nel Lazio quasi la metà della assistenza è fornita da privati o religiosi. Questi ottengono il rimborso delle prestazioni sulla base delle quote determinate per patologia, o sulla consegna alla Regione delle richieste rosa (impegnative), a ciascuna delle quali corrisponde una somma di denaro.
La quota di rimborso, come è noto a tutti gli amministratori, pubblici o privati, è molto esigua rispetto alle spese che devono essere sostenute per una assistenza di qualità.
Per fortuna non siamo in regime di economia pianificata su base dei piani quinquennali di triste memoria sovietica, ma in un libero sistema economico di tipo capitalistico.
Quindi legittimamente l'imprenditore, che si espone con un investimento, chiede di rientrare con un giusto guadagno che compensi il rischio di impresa e gli permetta un tenore di vita ben al di sopra della media di chi vive del suo stipendio, privo di consistenti rischi (almeno fino ad ora).
Sono ormai molti decenni, con l'alternarsi di diverse amministrazioni, che alle strutture private viene consentito di operare senza il benché minimo controllo.
Vengono prodotte prestazioni inappropriate in eccesso, prendendo iniziative non autorizzate (vedi l'apertura dell'ennesima emodinamica romana al S.Carlo di Nancy) e assumendo e licenziando a piacere i propri dipendenti tenendoli stretti al collo con contratti capestro o a tempo determinato, costringendoli a turni massacranti e liberandosene quando i ricavi non erano sufficienti a colmare le spese e a garantire gli utili imprenditoriali richiesti dall'investimento.
Qualche timido tentativo di contrasto e controllo nel tempo è abortito a causa del consistente potere dei proprietari, cointeressati nella gestione di giornali, canali televisivi e strumenti di pressione di vario tipo.
Ora la dinamica del mercato e la necessità di controllo del debito mette in crisi queste aziende il cui fine, come è del tutto legittimo, è il profitto.
Ed emerge con chiarezza che l'attività sanitaria pubblica non è remunerativa per un imprenditore che voglia legittimamente arricchirsi.
E legittimamente (?) gli imprenditori, che perseguono i loro interessi, come hanno finora fatto gestendo le loro imprese, vedendo precipitare i loro profitti come primo provvedimento licenziano i dipendenti, come fa la Fiat, come fanno le aziende.
Allora perché prendersela con la Regione invece che con la proprietà?
O meglio, perché non prendersela ANCHE con la proprietà, oltre che con la Regione che negli anni ha consentito che si formasse questo improprio sovradimensionamento affaristico delle strutture accreditate mentre il pubblico, stretto all'angolo dal piano di rientro, asfissiava lentamente senza rinnovo del personale e chiudeva servizi su servizi senza che nessuno muovesse un dito se non per accorgersi delle sale d'attesa dei pronto soccorso e magari incolpare l'inventata inefficienza pubblica?
Un alto rappresentante dell'AIOP ha assicurato che nessun proprietario sarebbe ricorso ai soldi messi da parte in tanti anni, (di vacche grasse, ndr.) per pagare gli stipendi.
Confermando la vecchia legge di una buona parte della imprenditoria italiana, la più spregiudicata, "socializza le perdite e privatizza i profitti", mentre gli imprenditori veri accettano i rischi e contribuiscono alla crescita e all'occupazione, pagando di persona.
E se domani, e sottolineo se, con il denaro risparmiato dal margine di utile degli imprenditori che oggi si stracciano le vesti per il 7% (per il Gemelli 29 milioni, pensate quanto è il 100%), la Regione assumesse i dipendenti buttati per strada dalla logica del mercato per rinforzare quelle strutture il cui fine istituzionale non è invece il profitto ma l'assistenza?
Si parla già da un po' apertamente di regionalizzare il S.Raffaele di Milano, dopo il disastro "eccellente" di don Verzé. Sogni di un pazzo? Di sicuro la Sanità può essere un volano per l'economia, in termini di information Technology, edilizia, alimentazione e tutto quanto non è assistenza.
Ma è molto probabile che una vera razza imprenditoriale fiuterebbe da lontano il fatto che investire in assistenza sanitaria non è remunerativo se si seguono le regole e si orienterebbe, che so, verso le catene di alberghi, la produzione di componentistica e altri rami dai profitti non assistiti e più sicuri.
Per approfondire:
Sanità privata? Monti ci prova dopo i tagli
Sanità, sempre più costosa e privata
30 novembre 2012