Il diritto e la sua ombra in materia di maternità surrogata
La maternità surrogata è diventata a livello mondiale, di fatto, una delle modalità disponibili per avere un figlio, dando in molti casi origine ad un turismo riproduttivo che sfrutta le differenze di regimi normativi ed economici tra i diversi paesi.
Allo stato attuale, tuttavia, non vi è una adeguata tutela giuridica e psicologica dei soggetti coinvolti, in primo luogo il bambino e poi la coppia e la madre surrogata.
La sofferenza che è dietro questa pratica emerge dalla recente presa di posizione della Cassazione che, con la sentenza n. 24001/14, è intervenuta per la prima volta in tema di maternità surrogata, confermandone l'illiceità ai sensi del diritto italiano. In particolare, la Cassazione ha escluso la possibilità di riconoscere in Italia l'accordo di maternità surrogata concluso, peraltro illegalmente, in Ucraina. Di conseguenza ha dichiarato adottabile il bambino nato dall'accordo di surrogazione.
Nell'arrivare a questa -umanamente pesante - conclusione hanno rilevato alcuni elementi. Il primo è che il bambino non aveva alcun legame biologico con i due genitori committenti. Sotto questo profilo, il caso si distingueva da due recenti precedenti della Corte europea dei diritti dell'uomo (Mennesson c. Francia e Labbasse c. Francia, entrambi del 26/6/14), che avevano affermato il diritto dei bambini nati da pratiche di maternità surrogata, e aventi un legame biologico con almeno uno dei genitori committenti, al rispetto della propria vita privata, che comprende anche il "diritto all'identità personale sotto il profilo del legame di filiazione", e quindi ad essere riconosciuti come figli. Quelle stesse sentenze, invece, avevano riconosciuto che gli stati nazionali hanno un margine di discrezionalità nel regolare gli accordi di maternità surrogata in assenza di quel legame biologico.
Inoltre, una volta riconosciuto che i coniugi non potevano considerarsi legittimi genitori del bambino, visto che la madre biologica si è resa indisponibile non è rimasto che constatare lo stato di abbandono del bambino e dichiararne l'adottabilità. Purtroppo, in questo ha pesato il fatto che ai coniugi ricorrenti è stata in precedenza negata per tre volte la possibilità di adottare in Italia per "grosse difficoltà nella elaborazione di una sana genitorialità adottiva", per cui non è stato possibile attribuire loro il bambino neanche a titolo di adozione.
In ogni caso, i giudici sono stati netti, ritenendo che "l'ordinamento italiano, per il quale la madre è colei che partorisce, contiene un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità, ossia della pratica secondo cui una donna si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un'altra donna" e che tale divieto, contenuto nella legge n. 40/04, non è stato toccato dall'intervenuta abrogazione di quello relativo alla fecondazione eterologa.
I passaggi più pregnanti della sentenza sono quelli che contestano l'argomento secondo cui l'interesse del minore dovrebbe essere il principio, di ordine pubblico internazionale, cui ispirare la decisione.
Il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è contrario, secondo i giudici, all'ordine pubblico ed, in particolare, alla dignità umana della gestante e all'istituto dell'adozione; solamente a quest'ultimo, "governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non del mero accordo delle parti, l'ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato". Inoltre, il legislatore ha ritenuto di realizzare il superiore interesse del minore proprio "attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando ... all'istituto dell'adozione, realizzata con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo delle parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico".
In questo, la Cassazione esclude le aperture che c'erano state soprattutto nella sentenza della Corte d'Appello di Bari del 13/2/2009, che aveva riconosciuto la prevalenza dell'interesse del bambino - sia pure in un quadro fattuale molto diverso, in cui il padre biologico era il committente e lo status genitoriale era stato validamente attribuito in Inghilterra ad entrambi i genitori.
Al di là degli argomenti giuridici, il caso addolora per la drammaticità delle conseguenze che derivano dall'assenza di un quadro regolamentare omogeneo in materia di accordi di maternità surrogata. Accordi, peraltro, che stanno diventando sempre più frequenti e che rappresentano anche un modo per aggirare le difficoltà legate all'adozione nazionale ed internazionale. Diventa, quindi, più che mai importante arrivare ad una tutela uniforme, quanto meno in Europa, come auspicato in un recente documento del Parlamento europeo.
In caso contrario, il rischio è di esporre le parti coinvolte a conseguenze emotive pesantissime. In primo luogo, ovviamente, il bambino, in questo caso vittima innocente di una pratica condotta fuori da tutte le regole. L'incertezza sul riconoscimento dell'accordo di maternità surrogata ha una portata in termini di sofferenza enorme, incidendo sulla identità personale del bambino così concepito e sul suo diritto di crescere in un ambiente familiare stabile, certo ed accogliente.
Più in generale, quanto più si diffonde il fenomeno tanto più è necessario che si acquisisca consapevolezza della necessità di far crescere i bambini così nati – così come quelli nati da fecondazione eterologa - nella verità della loro storia, rendendogliela digeribile ed accettabile ed evitando 'segreti' pericolosi da gestire. Giustamente la Cassazione afferma che la procedura dell'adozione è molto più tutelante:la vicenda non è lasciata al mero accordo,anche commerciale, delle parti; inoltre; inoltre, si è ormai consolidata la pratica di richiedere la totale trasparenza sull'origine adottiva.
Va anche considerata la difficile posizione della madre surrogata: in primo luogo, per lo sfruttamento economico, che rende odioso il turismo procreativo nei paesi più poveri. Inoltre, manca la garanzia di un adeguato supporto che aiuti la madre surrogata a compiere il difficile distacco psicologico che deve affrontare e a gestirne le implicazioni. Infine, tutte da chiarire sono le tutele per i casi d'ombra, legati alla nascita di bambini imperfetti: ha commosso il mondo la vicenda della scorsa estate dei due bimbi nati da madre tailandese e di cui la coppia australiana committente ha rifiutato di prendere il gemello affetto da sindrome di down e pesantemente malato.
Infine, vi è la fragilità della coppia che si sottopone alla pratica di maternità surrogata, al termine di percorsi di ricerca di un figlio biologico frustranti e che lasciano ferite non sempre adeguatamente elaborate. In questo, il pensiero va alla coppia del caso in esame, rispetto alla quale è forte l'eco del sentenza lì dove ricorda il ripetuto accertamento della loro inidoneità ad adottare per "grosse difficoltà nella elaborazione di una sana genitorialità adottiva". Ne emerge una grande sofferenza, che li ha portati a perseguire il loro desiderio ad ogni costo, anche in violazione di tutte le regole.
Resta da chiedersi quanto questi signori siano stati aiutati ad elaborare il dolore di una genitorialità naturale che non arriva. Nella procedura adottiva, con il giusto obiettivo di tutelare il bambino, si richiede agli aspiranti genitori uno standard molto rigoroso, di aver già del tutto superato il cosiddetto lutto biologico. Invece, il desiderio di genitorialità comporta stati d'animo complessi, fluttuanti, in cui c'è una pluralità di sentimenti contrastanti, non sempre nettamente definibili. Chi vive situazioni, siano esse quelle della maternità surrogata piuttosto che dell'adozione o della fecondazione eterologa, ha bisogno di essere aiutato ad aprire il proprio dolore, a svilupparlo a partire dal suo riconoscimento e non dalla sua negazione, così da renderlo compatibile con il poter dare un nome, il proprio, ad un bimbo venuto da altrove.
In conclusione, di fronte al numero crescente di casi di maternità surrogata trasfrontaliera,una decisione come quella in esame evidenzia la necessità di una risposta uniforme, che renda coerenti, da un lato, le scelte etiche e, dall'altro,fornisca una tutela giuridica e psicologica adeguata alla complessità di situazioni coinvolte.
di Giada Ceridono
Counselor e mediatrice familiare, Roma
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20 novembre 2014