Il caso aperto del sangue cordonale
In Italia è vietato conservare presso strutture private il sangue prelevato dal cordone ombelicale dei neonati. Tuttavia il Ministero può autorizzare il trasferimento all'estero del materiale prelevato per stoccarlo dove la legge lo consente.
Un problema spinoso che si gioca sul filo di decreti in scadenza.La legge italiana vieta nel nostro Paese ciò che consente di fare, ai suoi cittadini, fuori dai propri confini. Cioè conservare il sangue prelevato dal cordone ombelicale di un neonato, per un suo possibile uso futuro, in strutture private. Assobiobanche, l'associazione che riunisce le aziende private, in attesa di poter conservare anche in Italia le staminali prelevate dal cordone ombelicale, cerca di forzare i tempi.
E ricevere delle risposte dal Governo entro il 30 giugno prossimo "dopo una serie di appelli, e una lettera al ministro del Welfare Maurizio Sacconi, caduti nel vuoto", spiegano i rappresentanti delle aziende nel corso del convegno 'Verso la rete di biobanche pubbliche e private' organizzato ieri a Roma.
Tra meno di due settimane, il 30 giugno, scadrà l'ordinanza dell'ex ministro della Salute Livia Turco che vieta di istituire biobanche private per la raccolta e la conservazione del sangue cordonale, ma anche il decreto 'milleproroghe' che invece dispone "la raccolta autologa, la conservazione e lo stoccaggio delle staminali cordonali da parte di strutture pubbliche e private".
Previo accreditamento da parte di Regioni e Province autonome, che però non sembra in vista. "In questo momento - spiega il presidente di Assobiobanche Luca Marini - la situazione è un po' strana, perché la legge vieta di fare qui ciò che gli italiani possono fare altrove.
Con conseguenze negative anche per l'imprenditoria italiana. In pratica in Italia possono operare solo strutture pubbliche, ma gli italiani possono trasferire, grazie a un'autorizzazione del ministero della Salute, in centri privati all'estero il sangue del cordone ombelicale dei propri figli.
Per aggirare i limiti di una conservazione che, salvo casi eccezionali, nel nostro Paese non è mai con fini di trapianto autologo ma per donazione a terzi". E gli italiani si stanno già muovendo.
Nel 2007, su circa 570 mila nascite nel nostro Paese solo 2.500 sono stati i campioni di sangue cordonale raccolto e conservato nelle strutture italiane. Mentre circa il doppio dei campioni sono stati esportati all'estero dai genitori italiani, in biobanche private.
Una situazione che, almeno in parte, ricorda quella sperimentata dai centri di fecondazione assistita che entro i confini italiani non possono eseguire tecniche che invece sono concesse altrove. Tanto che molti italiani sono costretti a varcare i confini.
Oggi, in attesa del sospirato accreditamento, le biobanche private nel nostro Paese possono solo esportare all'estero le staminali prelevate dal cordone ombelicale. O crioconservare altri tessuti. "I limiti alla base del divieto si fondano - spiega il direttore del Centro nazionale trapianti (Cnt) Alessandro Nanni Costa - sull'evidenza scientifica. Finora - sostiene - non mi risulta alcuna pubblicazione scientifica che possa avvalorare un uso autologo delle staminali cordonali fuori dai casi di malattie del sangue". Quanto poi alla contraddizione 'all'italiana', che permette di fare all'estero ciò che è vietato tra i propri confini, Nanni Costa si trincera dietro a un diplomatico "no-comment".
Le tesi sostenute dal direttore del CNT sono avversate dalle aziende private, che contestano i rilievi sulla mancanza di fondamento scientifico della conservazione di staminali cordonali per uso autologo, ma anche i richiami alla qualità alta dei centri italiani rispetto ai dubbi sul sistema estero delle biobanche private.
"Manderemo al direttore Nanni Costa la bibliografia di numerosi studi che dimostrano l'efficacia del trapianto di staminali tra familiari in patologie come il diabete, dunque non per malattie ematopoietiche", spiega Irene Martini, direttore scientifico di SmartBank.
La ricercatrice ha da ridire anche sulle garanzie di sicurezza delle strutture pubbliche Made in Italy. "Nonostante quello che dice Nanni Costa - prosegue - in Italia solo due biobanche, una a Milano e l'altra a Pavia, sono accreditate Fact. Cioè con un sistema di accreditamento statunitense che certifica la qualità.
E nessun centro della Penisola ha invece il certificato Jacie, che è l'equivalente europeo del Fact. Non solo - prosegue - All'estero i controlli sulle biobanche non sono effettuati dal pubblico sul pubblico, ma da autorità regolatorie terze. Organi governativi che controllano sia il pubblico che il privato, che il misto. Cioè il pubblico-privato che altrove non è un'ipotesi impercorribile".
Pagina pubblicata il 18 giugno 2008