Con l'Ru486 donne libere di scegliere. Perchè no?
La sostanza denominata Ru 486 è il mifepristone. Interrompe la gravidanza facendo venire meno il sostegno dell’ovaia su cui c’è stata l’ovulazione.
Da più di vent’anni viene utilizzata nel mondo per effettuare aborti volontari. Viene somministrata il primo giorno, nelle successive 48 ore la gravidanza si interrompe e il terzo giorno l’assunzione delle prostaglandine provoca l’espulsione del contenuto dell’utero.
In Francia si eseguono con questo farmaco un terzo delle interruzioni volontarie di gravidanza, e anche nelle città italiane in cui è in uso, più o meno i numeri sono quelli.
Si può utilizzare nelle prime tre settimane di ritardo, e questo la rende compatibile con la Legge 194, perché i test, sia sulle urine che sul sangue, risultano positivi già al primo giorno di ritardo.
Le procedure della legge, infatti, prevedono che la donna aspetti sette giorni prima di eseguire l’intervento, durante i quali si mette in lista per l’esecuzione dello stesso.
Nei paesi in cui viene eseguita non viene richiesto nessun ricovero, solo la donna viene ospitata, se lo desidera, in locali dell’ospedale simili a un salottino, dove può attendere l’espulsione insieme a una persona di sua fiducia, e chiedere aiuto se ne sente la necessità. E’ una procedura scarsamente invasiva, a basso rischio, sicura.
Le morti di cui si parla sono legate anche all’aborto spontaneo, a interventi chirurgici di altro tipo.
Non è mai stata trovata una correlazione specifica con questa sostanza.
L’interruzione volontaria di una gravidanza è sempre e comunque un momento difficile per una donna. Che sia un fallimento di un contraccettivo che veniva usato, che appartenga all’ambivalenza di non proteggersi da un concepimento magari fantasticato, ma impossibile da accogliere, che sia l’irruzione della realtà concreta in una dimensione ideale, come nelle giovanissime, è comunque un momento di rottura attraverso il quale le donne non passano indenni.
Nessuna ideologia va sovrapposta all’esposizione già di per sé lacerante, di portare il sentimento e le parole della vita nella carne concreta. Quella che sottoponiamo alla chirurgia, al farmaco, alle cure. E se questo riguarda anche le gravidanze desiderate, che turbano e sconvolgono spesso le donne, in quanto le espropriano del corpo, e le costringono a un nuovo scenario, che può essere sì accolto con gioia, ma che non è così ovvio, a maggior ragione riguarda le gravidanze indesiderate.
Allora è necessario dare spazio alla loro voce, e ai loro desideri. Come desidera, una donna fare questo passaggio ?
Addormentata, nelle mani dell’equipe operatoria che la porta fuori senza farle sapere nulla ?
C’è chi dice che le conseguenze psicologiche siano maggiori, per il “non avvenuto” che impedisce l’elaborazione del lutto. Ma chi vorrebbe tenere sveglia la ragazzina che spera solo di tornare a casa in tempo perché nessuno si accorga di nulla?
In anestesia locale, parlando con chi la assiste del più o del meno, sdrammatizzando il più possibile… perché no? Ma se durante l’intervento la donna vuole dormire, perché non accettarlo?
E ora con le compresse, prendendo su di sé la procedura, non consegnandosi in mano ad altri, ma facendosi parte attiva. Perché no? La donna ha bisogno della medicina per le sue scelte di vita, non solo per curare le malattie, che è invece l’unico campo che riguarda gli uomini.
Che allora la medicina sia al suo servizio, aumentando le sue possibilità di scelta e la sua libertà, diminuendo i suoi rischi.
Il consenso informato, questa procedura spesso ridotta a una vuota formula, in medicina (firmi qui, se acconsente), ritrova per le procedure ostetriche il suo vero senso:”il mio dovere è l’informazione, e del paziente, la libertà di consentire”:
Tutto qui.
Elisabetta Canitano, ginecologa, presidente di Vita di Donna Onlus
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