Pillola dei 5 giorni dopo, quasi inaccessibile per le donne italiane
La pillola dei 5 giorni dopo è stata autorizzata ormai da ben sei mesi, ma solo 3 ginecologi su 10 la prescrivono.
Questo farmaco che fa parte della contraccezione di emergenza, a base di Ulipristal acetato (UPA), è conosciuto ed apprezzato dai sanitari, ma c’è un ostacolo, quello dell’obbligatorietà del test di gravidanza su beta-Hcg.
Ciò significa che la donna che ne fa richiesta al proprio medico deve dimostrare di non essere incinta.
La situazione, che possiamo definire di un diritto negato alle donne, è ben fotografata da un’indagine svolta da Datanalysis per la Società Medica Italiana per la Contraccezione (SMIC).
Il lavoro riguarda un campione di 200 ginecologi, rappresentativo dell’intero territorio nazionale.
Emilio Arisi, presidente della SMIC, ha spiegato che la ricerca non fa altro che confermare quanto “già paventato prima della decisione assunta dall'Aifa di inserire l'obbligatorietà del test su beta-Hcg nelle modalità di impiego del nuovo farmaco, ossia che questo avrebbe rappresentato un rischio concreto di inaccessibilità o comunque di difficoltà e ritardo nell'accesso alla contraccezione d'emergenza”.
Arisi definisce “un’anomalia tutta italiana” quella che di fatto penalizza le donne che sono costrette ad eseguire un test “spesso non necessario” per ottenere il farmaco.
La pillola dei cinque giorni dopo con il suo principio attivo (ulipristal acetato) è molto più efficacie del levonorgestrel (la pillola del giorno dopo) e consente di mettere al riparo la donna da una gravidanza indesiderata fino a 5 giorni dopo il rapporto a rischio (ma prima si prende e meglio è).
Per approfondire:
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