Procreazione assistita, si alza l'età media e il numero delle coppie infertili
Nelle terapie per la sterilità ci sono luci ed ombre. A distanza di 8 anni dall'introduzione della Legge 40, hanno avuto un figlio 65.000 coppie su 385 mila che hanno tentato questa strada. Da una coppia su dieci che otteneva un successo si è passati a una coppia su sei.
Questi i dati del congresso mondiale di endocrinologia ginecologica riportati dal Prof. Andrea Genazzani, presidente del congresso tenutosi a Firenze.
L'età delle donne che si rivolgono ai centri è aumentata, (età media 36,2 anni) e la tecnica del congelamento degli ovociti, unica permessa nel nostro paese, che quindi ci vede leader nella ricerca, comincia a dare buoni risultati.
L'utilizzo di questa procedura inoltre è importante per le donne che da giovani devono sottoporsi a terapie oncologiche che rischiano di compromettere la futura fertilità. I tumori in età giovanile sono in lieve, ma costante aumento, e la buona sopravvivenza fortunatamente pone spesso il problema della fertilità in queste ragazze.
Si sono anche ridotti i parti trigemini, dal 2,7% del 2008 al 2,4% del 2009. Buone notizie, insomma, ma la Dottoressa Rossella Nappi, ricercatrice presso il centro per la Procreazione Medicalmente Assistita dell'IRCCS Fondazione "S. Matteo" dell'Università di Pavia ricorda che non è tutto oro quello che luccica..
"Dovremmo iniziare a parlare di "fertipausa", dice e spiegare alla popolazione senza troppe illusioni che, nonostante i progressi compiuti, a 42/43 anni concepire, per via naturale o artificiale, è possibile ma estremamente difficile".
La parola chiave è dunque pensarci in tempo, per non dover poi affrontare terapie lunghe e pesanti, sia da un punto di vista fisico che economico, spesso inefficaci. Certo, in un paese in cui la parola d'ordine è precarietà come si fa a dire una donna di avere dei figli prima dei 35 anni?
In un momento un cui di solito non c'è un contratto a tempo indeterminato, la casa è un'illusione, non si può contare sui servizi come asili nido e altro, e fare dei figli significa scivolare nella soglia di povertà.
Certo abbiamo avuto politici, nel precedente governo, che dicevano che le donne non fanno figli per egoismo, e che non importa essere poveri, se uno li vuole li fa.
Peccato che in tutti gli studi internazionali sia dimostrato che portano avanti il paese proprio le donne che non fanno figli se non sono in grado di mantenerli e di assicurare loro un buon livello di istruzione.
Dice Elisabeth Badinter, femminista francese, per spiegare perché le francesi fanno più figli di qualunque donna europea, compresa la cattolica Irlanda, a parte le scandinave.
"Noi facciamo i figli con lo Stato", intendendo così la fiducia che hanno nel fatto che lo Stato le aiuterà a continuare a lavorare e a vivere, permettendogli di non dedicarsi per il resto della loro vita solo ai figli.
Da noi tutt'altra musica, il mito della madre mediterranea continua a intimidire le ragazze, che passano gli anni cercando opportunità di lavoro e casa, e spingendosi così fino a età che poi non consentono più di realizzare questo desiderio, che diviene allora ahimè impellente e che trascina in cure e speranze che, se non esaudite possono diventare devastanti sia per le donne che per la coppia.
Una legge restrittiva come la nostra inoltre costringe tuttora a viaggi della speranza in paesi come la Spagna o la Romania, cosa che aumenta la spesa e il disagio.
La Professoressa Nappi si augura che si trovino dei markers che permettano almeno di sapere quali fra queste ragazze cresciute avranno chances di successo e quali no, in modo che a queste ultime venga almeno risparmiato la trafila delle cure e delle vane speranze.
Messa così il problema non sembra lo sviluppo di ulteriori ricerche e ulteriori terapie, pur indispensabili per le donne affette da patologie, ma lo sviluppo di politiche per la natalità che siano ben altro il bonus bebè per avere lo sconto nei negozi di carrozzine convenzionati, vedi la Regione Lazio e la governatrice Polverini.
Protezione per le donne con contratti a termine, asili nido aperti e con orari flessibili, detrazioni fiscali per il personale di aiuto, sostegno per il rientro al lavoro dopo la maternità.
Le proposte non mancano, tanto più che il lavoro delle donne è volano per la crescita economica, e che le donne lavorando generano altri posti di lavoro.
Basta pensarci ed impegnarsi a farlo, e smettere di pensare che la donna debba stare a casa, e soprattutto che se sta a casa a fare le faccende il paese va avanti.
Perché non è vero.
Lisa Canitano
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