Medici di Medicina Generale, l'unione fa la forza
Solo il 30 per cento dei professionisti lavora in gruppo. La novità del lavoro di squadra sarà inserita nella prossima convenzione.Addio al medico di famiglia che lavora da solo nel suo studio. Dalla prossima convenzione sarà possibile soltanto il lavoro in rete per i camici bianchi di medicina generale, salvo eccezioni. Lo ricorda Franco Rossi coordinatore della Sisac, preposto alla trattativa per il rinnovo della convenzione della medicina generale, illustrando l'atto d'indirizzo per la medicina generale , in attesa di approvazione da parte del Consiglio dei ministri.
"Tutti si dicono convinti che i medici debbano lavorare in gruppo - spiega Rossi alla prima conferenza nazionale sulle cure primarie in corso a Bologna - ma in realtà, nelle varie forme associative, sono pochissimi i camici bianchi che realmente lavorano insieme. Appena il 30 per cento, secondo i nostri dati" .
Per questo l'atto di indirizzo - indispensabile per l'avvio delle trattative e che deve essere ancora approvato dal Cdm - "prevede che non si potrà più negoziare con i sindacati sulle forme associative. Bisogna lavorare in gruppo, punto. Un medico, se accetta la convenzione, accetta anche il lavoro in associazione. Non ci saranno più incentivi individuali perché lo facciano. Gli incentivi potranno essere utilizzati solo per sviluppare la forma associativa". Per Rossi questo è il vero 'salto' delle nuove linee di indirizzo. "Ovviamente - continua Rossi - sono previste eccezioni. In Italia, infatti, ci sono situazioni geografiche complesse, di cui bisogna tener conto. Ma è la Regione che decide. Insomma la regola è che il medico lavori in gruppo, salvo eccezioni". Secondo Rossi solo attraverso "un'attività aggregata è possibile che ci sia un'integrazione , in primo luogo dei medici di famiglia tra loro, poi con gli altri colleghi dei servizi territoriali e ospedalieri. Fino a che un medico resta da solo la possibilità di sviluppo è limitata", conclude l'esperto.
Per i sindacati, l'indirizzo proposto dalla Sisac sul lavoro in associazione è, in linea di principio, accettabile.
"Il lavoro in associazione - spiega Giacomo Milillo, segretario generale della Fimmg - è un punto di arrivo importante. Che i medici di famiglia debbano abbandonare l'attività individuale come standard, è ormai un dato acquisito.
Ma ciò non vuol dire lasciare i propri studi e concentrarsi in luoghi unici. Si tratta, concettualmente, di correlarsi con gli altri. Il medico che lavora da solo, chiuso nella sua torre-studio, in realtà è morto". Milillo si dice d'accordo anche sullo stop agli incentivi individuali per le forme associative. "Ciò non vuol dire - aggiunge - che i medici guadagneranno di meno. Semplicemente ci sarà una 'ristrutturazione' del compenso e questo è un altro punto che noi sosteniamo".
Milillo, inoltre, precisa che le spese sostenute per la struttura devono essere a carico della Regione, come del resto prevede la Sisac. "Sicuramente - conclude - in sede di trattativa ci saranno divergenze, ma c'è tutto lo spazio per trattare". D'accordo con Milillo anche Mauro Martini, presidente dello Snami, che pur sottolineando la necessità di lavorare in associazione , precisa che questo non vuol dire non lavorare più nel proprio studio.
"E' giusto e utile lavorare insieme - sostiene Martini - e mettere in rete i dati. Lavorare in associazione non significa necessariamente creare strutture per condividere spazi, ma condividere i dati per una reale assistenza 24 h su 24. Sì dunque al lavoro comune ma non tocchiamo il singolo ambulatorio", conclude.
Pagina pubblicata il 27 febbraio 2008