Test HIV solo con consenso del paziente
Più tutela nei confronti degli omosessuali malati di Aids. La chiede la Cassazione secondo la quale "nessuno può essere sottoposto al test anti-Hiv senza il suo consenso". Diversamente, se non viene rispettata la privacy dell'omosessuale e della malattia da cui è affetto questi può chiedere e ottenere il risarcimento dei danni subiti.In questo modo la terza sezione civile ha accolto il ricorso di A. V., un commerciante di Perugia che il 24 gennaio del 1996 era stato ricoverato presso l'ospedale di Città di Castello per un forte attacco febbrile con diagnosi di leucopenia, ed era stato sottoposto, senza il suo consenso, al test anti-Hiv. La vicenda, ricostruisce la sentenza 2468 di piazza Cavour "era stata custodita senza alcuna riservatezza così che le notizie relative alla salute di A. V. e alla sua omosessualità si erano diffuse all'interno e all'esterno dell'ospedale".
Il commerciante, che tra l'altro aveva dovuto chiudere la sua attività in seguito alle notizie che si erano sapute, ha denunciato il primario dell'ospedale e la Asl numero 1 della Regione Umbria, chiedendo un risarcimento di 500 mila euro.
Se per la Corte d'Appello di Perugia, a febbraio 2004, i medici e il personale ospedaliero avevano agito nell'esclusivo interesse del paziente e non avevano violato in alcun modo la sua privacy, per la Cassazione invece, che ha accolto il ricorso di A. V., l'uomo è stato doppiamente leso nella privacy sia perché "è stata indicata in piena evidenza nella cartella clinica la sua omosessualità e la cartella non è stata custodita con la diligenza necessaria a evitare che di essa potessero prendere visione anche persone estranee al personale sanitario, sia perché il test anti-Hiv gli è stato fatto senza chiedere il preventivo consenso". Nel merito, la Suprema Corte, legge 135 del '90 alla mano ricorda che "nessuno può essere sottoposto al test anti-Hiv, se non per motivi di necessità clinica".
Un principio che in ogni caso deve essere rispettato "anche nei casi di necessità clinica", nei quali rileva la Suprema Corte, "il paziente deve essere informato del trattamento a cui lo si vuole sottoporre e ha il diritto di dare o di negare il suo consenso, in tutti i casi in cui sia in grado di decidere liberamente e consapevolmente". Dal consenso del paziente, rimarca ancora la Cassazione, "si potrebbe prescindere solo nei casi di obiettiva e indifferibile urgenza del trattamento sanitario, o per specifiche esigenze di interesse pubblico (rischi di contagio per terzi), circostanze che il giudice deve indicare".
A questo punto sarà la Corte d'Appello di Roma a riesaminare la vicenda di A. V. anche in relazione al risarcimento danni patito per la diffusione della sua omosessualità e della sindrome dell'Aids.
Pagina pubblicata il 03 febbraio 2009