Più privacy per i dati sull'HIV
No alla raccolta indiscriminata dei dati sull'Hiv negli studi medici. Lo ha stabilito il Garante della privacy che, con un provvedimento generale, ha indicato i principi ai quali devono attenersi i camici bianchi nella raccolta di informazioni sulla sieropositività. Chi "esercita la professione sanitaria - si legge nella newsletter dell'Authority - non deve raccogliere informazioni sulla sieropositività di ogni paziente che si rivolge per la prima volta allo studio medico, se ciò non è indispensabile per il tipo di intervento o terapia che deve eseguire". Non solo. Il Garante ha precisato che se il medico viene a conoscenza di un caso di Aids o di Hiv, oltre a rispettare specifici obblighi di segretezza e non discriminazione nei confronti del pazienze, ha l'obbligo di adottare ogni misura individuata dal Codice della privacy per garantire la sicurezza dei dati sanitari. Il dato sull'infezione da Hiv può essere raccolto dal medico, infatti, solo qualora sia ritenuto necessario rispetto all'intervento clinico da eseguire sul paziente e comunque con il suo consenso, precisa l'Autorità. L'indicazione per tutti i camici bianchi è stata messa a punto dal Garante dopo aver affrontato il caso di uno studio dentistico che raccoglieva informazioni sull'Hiv attraverso la distribuzione di un questionario al momento dell'accettazione dei pazienti. "Allo studio - si legge ancora nella newsletter - è stato vietato l'uso dei dati raccolti. Alla base dell'intervento del Garante c'è, dunque, lo stop a una raccolta generalizzata e ingiustificata di informazioni delicatissime". Nel primo colloquio con il paziente - spiega l'Autorità - una volta acquisito il consenso al trattamento dei dati personali, il medico deve raccogliere solo le informazioni sanitarie necessarie ad assicurare una corretta assistenza medica. L'esigenza di raccogliere informazioni sull'Hiv fin dal momento dell'accettazione - continua l'Autorità - non può essere giustificata neanche dalla necessità di attivare specifiche misure di protezione per il contagio, poiché la normativa di settore prevede che tali misure siano adottate, nei confronti di ogni paziente, a prescindere dalla conoscenza dello stato di sieropositività.Pagina pubblicata il 11 gennaio 2010