Il test per la sindrome di Down accende le polemiche
Si chiama Prenatest e la sua messa in commercio in Germania, Austria, Svizzera e Liechtenstein ha suscitato un vespaio di polemiche. Si tratta di un semplice esame del sangue grazie al quale è possibile diagnosticare, sin dalla dodicesima settimana di gestazione, la sindrome di Down.
Il test diagnostico è stato prodotto dalla LifeCodexx, una casa farmaceutica tedesca, ed è disponibile per le donne in gravidanza alla dodicesima settimana e in presenza di un alto rischio di Trisomia 21 per il feto.
Con questo termine si indica la presenza di un cromosoma 21 in più, o anche una sua parte, che causa la sindrome di Down.
Attualmente la diagnosi prenatale ha a disposizione la villocentesi o amniocentesi con la quale si cerca nel cariotipo fetale l'anomalia cromosomica, pratiche che comunque comportano un minimo rischio per il feto. Anche con l'ecografia fetale si possono cercare alcuni segni indicativi che aumentano la probabilità della malattia.
Ora la scienza ha messo a disposizione uno strumento semplice e privo di rischi e proprio per questi motivi alcune associazioni prolife e di disabili hanno protestato fino ad arrivare alla Corte europea dei Diritti Umani.
Il rischio, secondo le associazioni che hanno sollevato le polemiche, è che il test diagnostico possa indurre i genitori ad abortire una volta rilevata l'anomalia genetica del feto. Motivo per cui è stato richiesto il divieto di commercializzazione.
Un rischio confermato dal delegato alla tutela dei disabili del Bundesregierung, Hubert Hueppe, secondo il quale attualmente il 90% dei genitori che scoprono con l'amniocentesi la presenza della malattia ricorrono all'aborto.
Certamente l'argomento è molto delicato, l'importante è tenere conto dei sentimenti dei genitori in ogni caso, sia di quelli che hanno un figlio affetto dalla sindrome di Down, che di quelli scoprono l'anomalia genetica e decidono di abortire.
C'è da ricordare che l'interruzione volontaria della gravidanza è ammessa nella maggior parte dei paesi fino a 12/13 settimane, e se i risultati arrivassero in tempo non ci sarebbe bisogno nemmeno di ricorrere alle leggi che regolano l'aborto terapeutico.
Vietare la commercializzazione non è una soluzione, le coppie che non desiderano fare diagnosi prenatale e abortire, come sempre, possono non farlo. Le altre devono essere libere di farlo nella maniera più innocua possibile.
Per approfondire:
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22 agosto 2012