Case farmaceutiche più orientate al guadagno e meno alla ricerca
Per le case farmaceutiche verrebbe prima il profitto e dopo le scoperte mediche o scientifiche. Il British Medical Journal (BMJ) non la manda a dire ma va dritto al punto.
La cosiddetta "crisi dell'innovazione", giustificata da una presunta problematicità scientifica nello scovare nuove molecole e nel mettere a punto nuove terapie, in realtà altro non sarebbe che un approccio orientato al guadagno e al marketing privilegiato dalle aziende farmaceutiche.
Lo scrivono sul BMJ due scienziati, Joel Lexchin della York University di Toronto e Donald Luce, dell'University of Medicine del New Jersey.
Secondo i due studiosi "La situazione dello sviluppo di nuove molecole è rimasta ferma a 50 anni fa e gli incentivi per lo sviluppo di farmaci sono sbagliati e hanno distorto i comportamenti all'interno del settore".
La denuncia è pesante e argomentata. Il 25% dei ricavi delle multinazionali farmaceutiche finisce nel marketing, mentre soltanto l'1,3% viene dirottato sulle attività di ricerca.
Le case farmaceutiche sostengono che "il costo per portare un nuovo farmaco sul mercato è di circa 1 miliardo di dollari", spiegano i due scienziati che però riferiscono che a fronte di un aumento sostanziale tra il 1995 e il 2010, "pari a 34,2 bilioni di dollari, i ricavi per le società sono aumentati di 6 volte più velocemente. E le aziende evitano di menzionare questo straordinario ritorno economico".
In sintesi, secondo i due ricercatori, la ricerca deve essere incentivata con fondi dedicati alle attività serie.
Motivo per cui i gli scienziati chiedono alle autorità mondiali che sovrintendono al controllo dei farmaci di dare uno stop "all'approvazione di nuovi farmaci di scarso valore terapeutico e offrire premi in denaro in sostituzione della copertura brevettuale solo per molecole veramente nuove".
9 agosto 2012