Mamma rifiuta di abortire su indicazione del medico, il bimbo è vivo

Il caso della donna che al Fatebenefratelli si rifiuta di abortire e partorisce un bimbo sano. Superficialità degli operatori, forse. Ma la Regione Lazio non fa i protocolli che proteggerebbero da questi errori.

Poco meno di un anno fa, il 4 aprile del 2013, la signora Maria Emanuela Scirè, alla quinta settimana di gravidanza, si reca al pronto soccorso del Fatebenefratelli, all’isola Tiberina di Roma, preoccupata per alcune perdite ematiche.

La signora viene visitata e le viene fatta una ecografia per controllare la situazione del feto.
La risposta che le viene data è che non c’è battito cardiaco e che quindi, purtroppo, il bimbo è morto.

Al pronto soccorso le viene consigliato di sottoporsi ad un raschiamento che la donna rifiuta nonostante i medici le spiegassero i rischi a cui sarebbe andata incontro se il feto fosse rimasto nell’utero.

Di fronte al rifiuto della donna le viene prescritto allora un farmaco, il Methergin, per provocare l’espulsione del feto.

Maria scende alla farmacia prende il farmaco che le hanno prescritto, ma qualcosa le dice che sta facendo la scelta sbagliata, e decide di non prendere la medicina.

Poi si reca dal suo medico e decide, su suo consiglio, di aspettare ancora qualche giorno e di fare una altra ecografia di controllo e se la risposta sarà come la precedente allora dovrà sottoporsi all’intervento.

Ma l’ecografia dice che c’è un bambino il cui cuore batte regolarmente e la cui crescita corrisponde al tempo della gravidanza, e che insomma quel bambino esiste e sta crescendo.

La madre abbastanza frastornata ma felice per questa risposta dell’ecografia, continua la gravidanza e partorirà proprio al Fatebenefratelli dell’isola Tiberina.

Maria è ovviamente felice ed ancora oggi non sa spiegare esattamente perché quel giorno di aprile, di fronte ad una diagnosi cosi brutale, lei avesse deciso di non credere a quello che i medici le avevano detto, forse l’istinto materno o chissà che cosa, ma di sicuro sa che solo la sua ostinazione ha fatto si che suo figlio, Edoardo, nascesse.

Ora Maria ha deciso di rendere pubblica questa storia e denunciare i medici che erano al Pronto Soccorso quel giorno di aprile, non perché voglia attaccare una struttura come il Fatebenefratelli, dove infatti ha deciso di far nascere suo figlio, ma perché, come dice il suo avvocato Pietro Nicotera, si tratta di un atto doveroso compiuto affinché in futuro atti del genere non accadano più.

Maria ha ripetuto che questa storia, per fortuna finita bene, avrebbe “potuto trasformarsi in una tragedia ed io non l’avrei mai saputo”, e per questa ragione ha denunciato quanto le è accaduto per fare si che la superficialità dei medici del pronto soccorso non si abbia a ripetere.

L’avvocato Nicotera, nel commentare quanto accaduto ha detto di sperare “che l’indagine interna avviata dalla direzione sanitaria dell’ospedale porti a dei risultati ottimali. Dobbiamo evitare che in futuro possano verificarsi altri episodi del genere all’interno di un pronto soccorso. Questa è una vicenda gravissima, un fatto di malasanità, oggi ne parliamo con il sorriso, ma se non ci fosse stata la testardaggine di una mamma, nessuno ne sarebbe mai venuto a conoscenza” .

L’avvocato ha concluso dicendo che , a suo avviso, “Nei pronto soccorso il personale deve essere altamente qualificato. Non si può sbagliare con la vita”.

Ci sono delle osservazioni da fare. Il problema è che sino a non molto tempo fa la presenza di un embrione senza battito veniva considerata dalle società di ecografia come prova certa di avvenuto aborto interno.

Solo recentemente nuovi lavori hanno stabilito che embrioni molto piccoli senza battito possono rivelarsi vivi ad un successivo controllo.

L’errore in questione può essere dovuto a una non conoscenza degli ultimi lavori, quindi operatore poco aggiornato, ma anche ad una eccessiva sicurezza di un operatore molto esperto.

La medicina può essere sempre pericolosa, sarebbe importante, come diciamo spesso, che la Regione Lazio stabilisse dei protocolli ai quali tutti si devono attenere - per esempio due ecografie a distanza di 10 giorni in caso di embrione piccolo senza battito - in modo da proteggere i pazienti

Dovrebbe anche ricordare ai ginecologi che la persistenza in utero di materiale abortivo non provoca la setticemia, che invece era provocata dall’aborto clandestino 50 anni fa.

Studiare, ragionare e governare. Questo è quello di cui la sanità ha bisogno.

di Antonio Luzi

Pubblicato il 25/3/2014

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