Sul superamento dell'obiezione di coscienza in materia di aborto
Riprendendo le considerazioni fatte da Umberta Telfener nell'articolo dell'8 agosto riferito al decreto del maggio 2014 firmato da Zingaretti, con cui stabiliva che i medici presenti nei Consultori familiari della Regione Lazio non avrebbero potuto opporre obiezione di coscienza per prescrivere la contraccezione di emergenza, per l'inserimento della spirale e per rilasciare la certificazione prevista dalla legge 194 che attesta la volontà di una donna di abortire; in seguito al quale il Movimento per la vita e associazioni di medici cattolici presentarono un ricorso al Tar.
Il 3 agosto scorso con una sentenza il Tar ha dato torto al MPV stabilendo che il medico obiettore è obbligato a fornire quelle prestazioni previste dal decreto di Zingaretti. É possibile inserire un ulteriore elemento di riflessione.
E' condivisibile quanto sostiene la Telfener, cioè che a una donna che si trovi difronte ad un medico obiettore "costretto" a firmare in virtù di una legge, non verrà garantito il proprio diritto ad un trattamento imparziale che sia esente da atteggiamenti ostili o considerazioni giudicanti; che la donna in tale situazione di difficoltà legata alla scelta non facile per nessuna donna, di interrompere la gravidanza, spesso portatrice di un proprio bagaglio interiore di "giudizi di valore" legati al proprio vissuto famigliare o sociale, necessiterebbe di tale trattamento imparziale.
Poichè sono noti episodi relativi a medici che nella storia relativa all'Igv hanno spesso e volentieri avuto atteggiamenti giudicanti, per esempio venni personalmente a conoscenza di un'esperienza vissuta da una mia parente che recatasi in ospedale (anni 90) al secondo mese di gravidanza, in preda a malessere e perdite, venne ricoverata e purtroppo perse il bambino. Nel momento in cui dovette affrontare un raschiamento necessario e previsto in questi casi di aborto spontaneo, si trovò in presenza di un ginecologo che essendo evidentemente un obiettore, condannò la persona in questione con parole e atteggiamenti accusatori, non ponendosi il problema che non si trattasse nemmeno di una scelta da parte della donna, ma di un aborto spontaneo che può capitare, che capita, a migliaia di donne. Naturalmente la cosa è inaccettabile anche nel caso si tratti invece di una decisione in merito alla volontà di interrompere la gravidanza.
Ora la storia in questione, dimostra che chi è portatore di un pregiudizio non può garantire la necessaria neutralità ed empatia che è indispensabile in tali situazioni, e venga meno in questi casi, la possibilità di un ambiente accogliente per la donna, come dice la Telfner "contenitivo", che vi sia un ascolto attivo e non giudicante, che si aiuti la persona a superare, ed eventualmente a consigliare rispetto a metodi contraccettivi volti ad evitare il ripetersi di dover nuovamente affrontare una scelta che per le donne è nella stragrande maggioranza dei casi drammatica o quantomeno potatrice di sconvolgimenti emotivi.
La necessità che oltre a quanto opportunamente evidenzia la Telfner nel suo articolo rispetto a medici "portatori di convinzioni" quali l'obiezione, non è sufficiente che si garantisca alle donne l'eseguibilità per legge dell'interruzione di gravidanza; è altresì necessario che si intervenga a monte, nella formazione dei medici, che questi abbiano tra le loro materie di studio la psicologia, la sociologia e l'etica.
Bisogna far si che il medico che si accinge a scegliere una specializzazione come la ginecologia (in realtà si dovrebbe applicare a tutte le dimensioni della professione) sia meno tecnicistico nella propria formazione, e che abbia ben chiaro che se proprio i suoi convincimenti morali o religiosi non gli permettono di svolgere la professione in modo sereno ed imparziale si orienti verso altre dimensioni, la professione medica deve essere funzionale rispetto ai "bisogni del paziente" - che è l'unico soggetto da tenere in considerazione nel momento in cui è in cura, e portatore di una sofferenza legata a malattia o necessità di fare tali scelte – venga pertanto esaminato il medico alla fine di un necessario percorso formativo, e giudicato adatto o meno allo svolgimento della professione nell'ambito prescelto.
Volendo essere sarcastici, ma l'esempio calza bene; "chi vorrebbe Erode a gestire un asilo nido?" Questo vale per anche per un obiettore "costretto" a praticare un aborto. Non si comprende perché si debba accettare che la donna trovandosi in una struttura pubblica per abortire, debba avere a che fare con un potenziale nemico che le mostra un alto indice di sgradimento. Poichè le istituzioni sono il prodotto di un "costrutto sociale", questa dimensione che troppo spesso le donne si trovano ad affrontare, sottende che è ancora accettata e veicolata l'idea che la donna che abortisce è una "peccatrice", una snaturata, un'egoista e quant'altro, e che se proprio le si "consente" di abortire, che almeno ne porti il peso e la colpa.
Quello che deve cambiare radicalmente, è il paradigma sociale legato alla stigma e alla convinzione morale che in fondo il ruolo e l'identità femminile è ancora fortemente legato allo stereotipo della maternità. Una maternità che se viene rifiutata - per scelta o per necessità – diventa il metro di misura con cui giudicare la persona. Sarebbe il caso di cominciare ad elaborare l'idea che le donne non sono una categoria, ma degli individui e che come tali sono portatrici di soggettività, non è detto che tutte desiderino essere madri, così come non è detto che siano "istintivamente votate alla maternità". Pertanto uscire da questa dimensione giudicante nei confronti di "persone" prima che donne. Agli obiettori riluttanti possiamo tranquillamente consigliare di intraprendere altre specializzazioni, visto e considerato che anche l'obiezione di coscienza è un costrutto sociale nato in tempi non recenti e legato a fattori che potevano – forse – avere un senso in quel contesto sociale che oggi è ampiamente superato.
Loredana Biffo
Sociologa - scrittrice - giornalista
4 settembre 2016
In merito all'argomento abbiamo lanciato una petizione dal titolo "Non parlo di aborto con gli obiettori" che in pochi giorni ha raggiunto centinaia di adesioni. Firmate e diffondete, è importante.
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