Bambini che non mangiano
Più o meno tutti abbiamo avuto genitori che si sono lamentati perché non mangiavamo "nulla", che ci hanno portato dal dottore per avere prescrizioni di ricostituenti, stimolanti per l'appetito, vitamine, integratori, ecc e molti di noi oggi sono adulti che devono mettersi a dieta per ritrovare un fisico in forma!
In tanti purtroppo ci siamo ritrovati ad aver superato il peso desiderabile: eppure per i genitori eravamo tutti a rischio di rimanere "piccini".
Questo "panico da cibo" è sempre stata una costante nella preoccupazione dei genitori e proprio ed incredibilmente nelle società agiate; oggi poi questa distorta lettura dei fabbisogni alimentari del figlio si è così esasperata che impone di correre ai ripari.
La lamentela più ricorrente negli ambulatori pediatrici è che il bambino "non mangia", anche se poi, alla visita, bambini sottopeso o che non crescono d'altezza perché sottoalimentati è difficile trovarne, se non in casi di malattie croniche o di estrema indigenza, per fortuna rari in Italia.
Prevalentemente quindi siamo di fronte a bambini che non mangiano quanto vorrebbero i genitori, ma a sufficienza però rispetto ai loro fabbisogni energetici.
Vi sono poi anche bambini che effetti vamente in certi periodi riducono l'alimentazione, e questo può accadere per vari motivi (malattie in corso, con valescenza, problematiche familiari, gelosie con i fratelli, scuola, ecc.).
Si tratta in genere di fasi transitorie che non richiedono alcun intervento, ed è comunque inutile stimolare l'appetito con farmaci: in questi casi, più corretto e certamente più produttivo è occuparsi delle cause che hanno provocato la disappetenza.
I farmaci "ricostituenti" sono ancora oggi fra i più venduti, e non solo i "polivitaminici", il cui uso ha senso solo in alcune precise patologie, ma anche i cosiddetti integratori "naturali", come la pappa reale, il ginseng, e altro.
Si tratta di prodotti carichi di suggestione, presentati come capaci di ricostituire qualcosa che si è perso (l'appetito, la memoria, il vigore fisico) e di restituire alla persona, al bambino, allo studente, la carica necessaria per affrontare le difficoltà e gli impegni quotidiani.
Gli studiosi giudicano questi prodotti completamente inutili. Questi farmaci rappresentano evidentemente solo una prescrizione medica semplicistica e priva di rigore scientifico, un'illusione per il genitore che li dà con fiducia al bambino e soprattutto un buon affare per chi li produce.
L'alimentazione non è mai solo un fatto di cifre, a nessuna età. Entra sempre in gioco la complessità dei rapporti, come quelli instaurati dai genitori con il bambino e dal bambino con i genitori.
I genitori dovrebbero cercare di capire le proprie ansie, quale è la loro origine e cercare di non soccombervi: potrebbero per esempio pensare che il bambino sia un essere molto più fragile di quanto non sia in realtà, che non abbia nessun meccanismo di difesa e di scelta, che se non mangia quanto vogliamo e come vogliamo "non ci vuole bene", ecc.
Il bambino può opporsi a tutto questo e rifiutare di mangiare più di quanto gli è necessario. Scatta allora nei genitori il timore che il figlio sia disappetente: si instaura un meccanismo che vede da una parte il genitore che insiste perché il bambino mangi e dall'altra il bambino che insiste nel rifiuto.
Tale stato di cose può durare nel tempo, per più anni, tanto che per molti genitori il mangiare diventa una specie di guerra/sfida.
Di fronte all'inappetenza del bambino o ad atteggiamenti di parziale rifiuto dei cibi, si dovrebbe sempre avere un comportamento non autoritario e quindi di rispetto della sua autodeterminazione.
Ci sono alcune conoscenze e considerazioni razionali che potrebbero aiutare l'adulto a tranquillizzarsi nelle sue valutazioni:
- il bisogno di introdurre calorie e quindi proteine, lipidi e liquidi si riduce sensibilmente dopo il primo anno di età;
- esistono variazioni individuali riguardanti la quantità di alimenti necessari e nello stesso bambino è possibile osservare variazioni nel tempo del tutto normali;
- il giudizio sul fatto che il bambino mangi poco non è ben definito (si tratta dell'impressione dell'adulto, più che di dati correlati all'assunzione del cibo in rapporto al reale fabbisogno di quel bambino) ed è in genere in conflitto con i positivi dati relativi alla crescita in peso ed altezza;
- un bambino sovralimentato nel primo anno di vita (evenienza tutt'altro che rara) tende a mangiare meno nel secondo anno;
- periodi transitori di eccitazione e di ansia tendono a tradursi in un momentaneo rifiuto del cibo;
- in una sperimentazione svolta su bambini nel corso del divezzamento, questi, messi di fronte a vari alimenti, in pochi giorni hanno scelto una dieta equilibrata, del tutto confacente alle loro esigenze: va quindi data fiducia alla capacità di autoregolazione del bambino;
- può influire nelle richieste di maggiore assunzione di cibo il fatto di voler adeguare l'immagine del proprio bambino a quella del bambino di tanta pubblicità, un bambino grasso e paffuto.
Il modello di bellezza infantile, al contrario del modello di bellezza adulta, viene offerto nella stragrande maggioranza dei mass media come "grasso" (se non addirittura obeso); - un bambino che è stato capace di correre, giocare, restare attivo per gran parte della sua giornata, è quasi certo che abbia assunto calorie in quantità sufficiente a soddisfare il suo fabbisogno energetico.
Vedi: Anoressia e bulimia
Mangiare sano: ecco i cibi della salute
Pagina aggiornata il 9 maggio 2006