Farmaci, ha senso la scadenza?
Con il titolo "Il grande inganno dei farmaci scaduti", il quotidiano La Stampa ha pubblicato un'inchiesta sui meccanismi che regolano la data di scadenza dei medicinali.
Una indagine messa in relazione anche con l'annoso problema delle confezioni dei farmaci non adeguate ai cicli terapeutici o comunque più grandi di quanto richiederebbe l'uso razionale del prodotto, che spesso riempiono l'armadietto dei medicinali delle famiglie italiane fino alla fatidica data di scadenza. Sulle scadenze dei farmaci, prosegue il quotidiano di Torino "gli studi più approfonditi li hanno fatti i militari, che gestiscono stoccaggi che possono essere buttati a tonnellate, se non ci sono interventi in terre pericolose".
Questi studi depongono per una validità del prodotto che può arrivare da due fino a 10 anni dopo la scadenza ufficiale. Rimane - continua il giornale - l'aspetto del rischio. "Nel caso di un esercito sono loro a somministrarlo, nel caso di un privato è lui che l'ha assunto a suo personale pericolo e non ha titoli per rifarsi dopo essersi affidato al buon senso".
Sulla questione è intervenuto anche il farmacologo Silvio Garattini, dell'Istituto Mario Negri di Milano, che intervistato sul tema afferma: "Ci sono scadenze che devono essere indicate e che in realtà non sono così tassative.
E lì giocano da un lato la prudenza, dall'altro un interesse commerciale". Perché le aziende accorciano la scadenza?, chiede il giornalista. "Non si tratta di accorciare ma di garantire. Loro (le aziende) - risponde Garattini - accertano che entro quei tempi, comunque indicativi perché un mese rispetto a ciò che è scritto sulla scatola non cambierà nulla, il farmaco è perfetto rispetto a ciò che sta scritto sul bugiardino. Questo non significa - aggiunge però il farmacologo - che dopo diventi dannoso o pericoloso".
Sulla stessa linea di Garattini è anche Luciano Platter, presidente di Federfarma Piemonte, ascoltato sempre da La Stampa. "Per quanto riguarda le scadenze - dice Platter - non ha senso indicare una data precisa, oltre la quale una medicina deve essere buttata via per forza.
Dovremmo adottare la frase riportata sui prodotti alimentari: consumare 'preferibilmente' entro". Una precauzione che vale soprattutto, dice l'esponente di Federfarma "per i medicinali a base di composti chimicamente stabili, come l'aspirina, per i quali la scadenza assomiglia più a una manovra commerciale che a una tutela reale".
Accanto a questo problema, il quotidiano torna sull'annosa questione della grandezza delle confezioni di farmaci, che spesso si risolvono in uno spreco. "Un sacchetto di nylon sulla bilancia. Peso: tre chili. Totale dei singoli oggetti: 52. Totale dei prezzi stampati sulle confezioni: 421 euro. Tutto da buttare. Contenuto: medicinali acquistati, medicinali 'passati' dal servizio sanitario con ticket. Tutti scaduti".
Un esempio che, prosegue il giornale "moltiplicato per appena cinque milioni di famiglie d'ogni categoria sociale sono, secondo stime dei legali dei consumatori, quasi tre miliardi di euro finiti in un anno nei contenitori appositi, in bidoni della 'differenziata', in boschi profondi e diventati discariche senza dover andare a Napoli". Di chi è la colpa? "I governi, di qualunque colore - scrive il quotidiano torinese - danno colpa ai medici di base che 'scrivono di tutto', ai 'consumatori' che di tutto chiedono".
"Interessi economici, autotutela sulle conseguenze, speculazioni, rifiuto di alternative, pigrizia medica, diseducazione dell'utente - riprende Garattini - sono un mix straordinario per spese private (2 euro per pezzo in ricetta, 1 euro se è farmaco generico, nulla se si è esenti o con accertata patologia invalidante), pubbliche (c'è uno sconto, più alto se è più alto il costo, delle farmacie ai servizi sanitari pubblici), di smaltimento o recupero".
Pagina pubblicata il 14 gennaio 2008