Screening seno riduce mortalità di un terzo
Difesa a spada tratta dei programmi di screening per stanare il tumore al seno. "Guai se non ci fossero", afferma Francesco Cognetti, responsabile dell'Oncologia medica A dell'Istituto nazionale tumori Regina Elena Irccs di Roma, commentando così lo studio apparso sulle pagine del British Medical Journal, che getta qualche ombra sui test per stanare il cancro al seno.
Un terzo delle diagnosi, secondo lo studio danese, riguarderebbe forme tumorali potenzialmente innocue, inducendo tuttavia le donne colpite a sottoporsi a terapie di cui potrebbero fare a meno.
"Non conosco lo studio - precisa Cognetti all'ADNKRONOS SALUTE - ma quel che è giusto sottolineare è che i programmi di screening, di fatto, hanno diminuito del 30% la mortalità per cancro al seno", uno dei big killer del gentil sesso. "Per questo - aggiunge l'oncologo - bisogna continuare a investire" nella diagnosi precoce e, anche se il dato dello studio danese corrispondesse a realtà, "occorre ricordare - fa notare - che nei due terzi dei casi restanti i test salvano la vita".
In futuro, grazie ai progressi della ricerca, si potranno poi evitare quelle cure a cui le donne potrebbero non sottoporsi, perché colpite da una forma tumorale che difficilmente potrebbe svilupparsi minacciandone la vita.
"Grazie ai progressi della biologia molecolare - sottolinea - oggi già diffusamente usata nella fase di prognosi e scelta delle cure. Ma ci vorrà ancora qualche anno prima che questa possa guidare la prevenzione secondaria", schivando così cicli di chemio e interventi evitabili.
Prevenzione del cancro al seno: come ridurre il rischio
Pagina pubblicata il 12 luglio 2009