Sanità Lazio, Unindustria e la casa di Cicerone
Sul Messaggero online di martedì scorso troviamo quella che è la ricetta di Unindustria per sanare la sanità del Lazio. In sintesi, con uno studio commissionato alla Deloitte, presentato dal presidente di Unindustria Maurizio Stirpe alla presenza del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, la bizzarra conclusione è che il modello Lombardia sarebbe la soluzione da adottare.
Diciamo che lo studio (studio?) di Unindustria purtroppo soffre del difetto di autoreferenzialità determinato dalla fonte e dallo sponsor, in letteratura scientifica lo si direbbe un "bias", cioè un errore metodologico, determinato in questo caso dalla sussistenza di un conflitto di interesse (ahi), che falsa i risultati.
Così come lo sbandierato lavoro del centro studi dell'UCSC, dal quale emergeva che i migliori esiti finanziari di rapporto costo/efficacia erano, quando si dice il caso, appannaggio dell'UCSC.
E come il costante strisciante attacco a un importante ospedale romano, attacco spesso monco di conti e riscontri, determinato, si è portati a supporre, dalla coabitazione nella medesima ASL con una Grande Struttura che, oltre ad essere di proprietà di un famoso e piuttosto potente "industriale", e Accreditata con il SSR, si autoaccredita di efficacia ed efficienza anche grazie a qualche cocchiere imenottero cointeressato.
Un po' come chiedere alla volpe di giudicare e organizzare i sistemi di sicurezza del pollaio. O, più banalmente, come chiedere all'oste se il vino è buono. Cicero pro domo sua.
Ricominciamo da capo, come con i bimbi di otto anni, keep calm e gesso sulla stecca.
Al primo punto troviamo, come l'Araba Fenice, rinata dalle proprie ceneri, la solita panacea di tutti i mali, (che alzando il coperchio si rivela più o meno la stessa zuppa di sempre, e comunque il pan bagnato di ieri), propugnata anche in ambienti di centrosinistra, cioè la separazione fra le funzioni di "acquisto" e quelle di "fornitura" dei servizi sanitari, fallita ovunque sia stata applicata.
Questo modello è alla base del sostanziale fallimento finanziario del Modello Lombardo, costretto per quadrare i conti ad acrobazie contabili degne della finanza creativa di Tremontiana memoria.
Oltretutto grazie a questo "liberi tutti" il Sistema Regionale è preda di un malaffare invasivo e miliardario, legale e no, fino al fallimento anche di strutture apparentemente ben funzionati come il S.Raffaele.
Il Modello si traduce in pratica nella trasformazione del sistema di assistenza in un sistema regolato dalle leggi di mercato, figlie di una visione acritica e ideologica in cui, come tante volte viene ripetuto, il profitto e il pagamento a prestazione demoliscono la qualità dell'assistenza in favore della quantità.
Fatta la tara, da una parte della serietà di alcune strutture e di molti operatori, professionisti e ricercatori, e dei residui sussulti culturali di rispetto della cosa pubblica per fortuna ancora (per poco?) radicata in Lombardia, e dall'altra degli estremi delinquenziali come la clinica accreditata S.Anna e gli interventi inutili e assassini, nel mezzo viaggia un enorme giro di quattrini afinalistico per quel che riguarda l'assistenza e finalizzato a pareggi di bilanci, profitti milionari ed altro che con la salute ha poco a che vedere, così come le "prestazioni", le "forniture" e le altre componenti tassonomiche della obsoleta ideologia del "mercato sopra a tutto", advertising compreso.
Il secondo punto è un po' di aria fritta. Il controllo della spesa è una necessità primaria e non un metodo opzionale di gestione. Quindi è un po' come gli articoli di giornale ai cambi di stagione. Mi raccomando se fa caldo mangiate molta frutta, se fa freddo copritevi.
Il terzo punto è ampio. Spiace doversi rifare solo al resoconto del Messaggero, detto così ("tutte le strutture devono essere accreditate") è un'altra affermazione scontata visto che per legge le strutture devono rispondere a dei requisiti e quindi rispondere ad un modello di miglioramento continuo della qualità. Questo è l'accreditamento. Ma dietro l'accezione ambigua (accreditamento è anche l'autorizzazione a erogare prestazioni per conto del SSN) e un po' surrettizia degli estensori del "rapporto" si cela un bel bisticcio. L'apertura ai nuovi "accessi nel settore".
Si dimentica allegramente che non siamo di fronte ad un "settore" industriale, con la libera concorrenza fra i soggetti per la conquista di un mercato aperto in cui le necessità, anche indotte, producono la domanda, al crescere della quale cresce l'offerta e salgono i profitti etc..
Siamo di fronte all'erogazione di un sistema integrato di salute sulla base del fabbisogno, quindi i "soggetti", nuovi o no, devono fare i conti con il fabbisogno. Se il fabbisogno non c'è, non si crea ad arte, e i "soggetti" restano fuori. Punto. Questo è il senso profondo della Sussidiarietà che per legge regola i rapporti fra il SSN e i privati accreditati.
Il quarto punto è del tutto condivisibile. Controllo delle prestazioni, appropriatezza, controllo serrato delle prescrizioni anomale. Resta da capire come sia possibile con i rimborsi attuali realizzare un consistente profitto industriale "producendo" solo il giusto, con gli alti costi delle prestazioni sanitarie.
Ah, ecco, con il quinto punto. Aggiornamento delle tariffe, in modo da consentire, anche lavorando bene, cosa a tutt'oggi in contraddizione con la realtà effettuale, di produrre il profitto necessario a invogliare gli investimenti nelle strutture di degenza e ambulatoriali.
Le attività ambulatoriali specialistiche sono a tutt'oggi la fonte più importante di reddito dell'accreditato, che copre oltre il 40% dei servizi sanitari del Lazio.
La Grande Struttura di cui sopra è passata da 350.000 € del 2007 ai circa 18 Milioni del 2012 di sole attività ambulatoriali. Cioè, in una parola, migliorare la qualità dei servizi e mantenere alta la spesa, se non aumentarla, rendendola compatibile oltre che con la copertura dei costi anche con la realizzazione del profitto, Motore del Mondo. Ma un po' meno con la sostenibilità del sistema.
Il sesto punto, la messa in rete dei dati, l'utilizzo coordinato della piattaforma web, la riprogettazione dei flussi informativi e tutto il resto della ovvia supercazzola brematurata informatica, tuttavia indispensabile in un sistema aggiornato ed efficiente, immaginiamo sia fra quelli giustamente condivisi da Zingaretti.
Senza una efficace rete informatica e trasmissione e gestione dei dati non ci sono speranze di farcela.
Insomma, il Servizio Sanitario Nazionale non è l'IRI, cioè una attività industriale erroneamente gestita dallo Stato. È un servizio dello Stato che deve essere gestito ed erogato dallo Stato, unico interessato al "core business" del Sistema, cioè la Salute Pubblica, come la Pubblica Sicurezza. Dalla quale a nessuno verrebbe in mente che si possano trarre profitti milionari. Il mondo dell'industria ha un rapporto deviato con l'enorme struttura sanitaria Statale italiana. Non dovrebbe occuparsi di attività cliniche in quest'ambito.
L'industria, l'imprenditoria, preziosa e produttiva, volano dell'economia, si occupi di fornire con gare trasparenti, aggiudicate con trasparenza, i supplies del sistema, le apparecchiature, i servizi di mensa e lavanderia, i farmaci, le strutture informatiche e quant'altro serve al funzionamento corretto e onesto di una struttura sanitaria, competa sulla qualità e sui bassi costi delle forniture di questi servizi e beni, e si tenga lontana dai letti dei malati, dove c'è poco da guadagnare.
Il SSR non ha bisogno né di mettere all'asta al migliore offerente le prestazioni di salute per i cittadini né della concorrenza fra strutture ma semmai della collaborazione fra loro per un miglior servizio integrato alla persona. E se una struttura, necessaria in un determinato contesto, funziona male, la penalizzazione economica non ha alcun senso, non potrà che produrre peggioramenti delle performances.
Si rimuovano i Direttori, invece, magari proprio là si investa di più, se serve, e si dia un mandato chiaro di risultato ai Direttori subentrati.
Il SSR del Lazio ha bisogno di ben altro, e per fortuna Zingaretti sembra averlo ben presente.
Territorialità, rigore, trasparenza delle nomine a tutti i livelli, la competenza al potere e non le amicizie o le parentele, l'allontanamento della politica nel suo senso più corrivo e corruttivo e l'avvicinamento delle buone politiche sanitarie, il rigoroso controllo della spesa, l'appropriatezza, gli stili di vita, la ricerca scientifica applicata all'assistenza, il superamento del precariato nel mondo sanitario, così come è indispensabile negli altri settori.
Dopo più di vent'anni forse comincia a essere il caso di porsi qualche domanda sulla efficacia a lungo termine della economicizzazione del Sistema Sanitario cominciata nel secolo scorso e trasformatasi in un Moloch intoccabile e divoratore di risorse e vite umane, ma che continua a essere considerato il "nuovo".
Abbiamo già dato, e forse è il caso di smettere di guardare il futuro con la nuca e cominciare a studiare, a pensare a un altro, più innovativo ed efficace modo di calcolare i ricavi del sistema e le modalità del suo finanziamento.
Stefano Canitano
Medico all'Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma
Segretario regionale del Lazio del Sindacato Nazionale Radiologi
16 maggio 2013