Aborto, l'obiezione di coscienza obbliga le donne in fila dalle cinque del mattino
La lettera di un donna, una delle tante che ogni mattina sono in fila dall'alba presso il servizio di interruzione volontaria della gravidanza dell'Ospedale San Camillo di Roma. Una cronaca fedele e dolorosa di come l'obiezione di coscienza mini la salute e i diritti delle donne. Un grido di dolore rivolto a Zingaretti.
Cara Vita di Donna, ho seguito la battaglia che state conducendo contro l'obiezione di coscienza, e i tentativi di Zingaretti, da me votato, per migliorare l'assistenza alle donne. Vi scrivo dunque, per raccontarvi la mia esperienza di prenotazione di un'interruzione di gravidanza presso l'Ospedale San Camillo. Devo premettere che gli operatori, da me conosciuti in seguito, sono solleciti e gentili, per quando possibile, visto che sono oberati di lavoro (certo! se lavorano solo loro è chiaro che corrono in continuazione e non possono fare di meglio!).
Non è possibile però che nel 2014 le donne siano costrette a questa umiliante routine per vedere rispettato un loro diritto, garantito da una legge. Vi prego di pubblicare la mia lettera, in modo da raggiungere il Governatore, e chiedergli di intervenire, a fianco dei diritti delle donne.
Devo interrompere la gravidanza, non me la posso proprio permettere. Io e il mio compagno viviamo da precari in una provincia del basso Lazio. Tiriamo avanti con poco, un figlio proprio non ci sta.
Al Consultorio del mio paese sono stati gentili, abbiamo raccontato i nostri problemi, hanno cercato garbatamente di farci cambiare idea, e poi ci hanno rilasciato la certificazione dei sette giorni. Mi hanno detto che un ospedale vicino che faccia le IVG non c'è perché sono tutti obiettori di coscienza e che devo andare a Roma, al San Camillo. "Vacci la mattina molto presto, perché c'è sempre la fila e rischi di restare fuori, ne prendono solo cinque al giorno".
Va bene, decido di andare da sola. Il mio compagno non verrà, abbiamo le bollette scadute ancora da pagare, è meglio che lui non perda una giornata di lavoro.
Venerdì 27 giugno, quattro del mattino. Un'alzataccia, un viaggio duro, mi viene da piangere tutto il tempo, mentre guido. Di questa sofferenza se ne è tanto parlato, ma tanto poco è stato fatto. Sono tutti buoni a parlare di sostegno alle donne, di violenza. Non c'è nessuno a cui io possa chiedere un lavoro vero, una casa, per avere il mio bambino.
Arrivo al San Camillo alle 6,30. Mi hanno spiegato che devo scendere vicino alla maternità, è un seminterrato, ci sono le scale che vanno giù. Quando arrivo ci sono già 4 ragazze straniere, si tengono vicine alla porta a vetri del reparto, in modo da essere pronte quando apre. Faccio un rapido conto, se è vero che fanno cinque aborti al giorno allora oggi ce la faccio. La sicurezza aumenta quando scopro che una delle ragazze accompagna la sua amica, quindi sarei la quarta. La donna che ha il primo posto è arrivata alle 5,30 ma lei vive a Roma. Un'altra voleva andare al Policlinico, ma racconta che era pieno.
Poco dopo le sette arriva la quinta donna. Secondo la 'regola del 5' siamo al completo. Poi arriva un'altra, è accompagnata dal suo ragazzo. Ormai abbiamo rotto il ghiaccio e parliamo tra noi. Una delle donne ha già fatto questa esperienza e mi spiega che alle 8,00 la porta si schiuderà, mi apriranno la cartella clinica, farò le analisi di routine e poi vedrò un ginecologo, potrebbero volerci anche delle ore.
Alle sette e mezza arriva la settima donna. Nel frattempo chi ha già dei figli inizia a raccontare del proprio parto. Io ascolto, mi guardo intorno, cerco di non ascoltare, mi sembra un argomento veramente poco adatto. E poi oggi è una bella giornata di sole, ma come si fa quando è inverno e fa freddo? e se poi piove?
Arriva l'ottava donna, la nona. Quest'ultima racconta che il suo Consultorio le ha fissato l'appuntamento. Avrà la precedenza su di noi anche se siamo arrivate prima? ma allora perché viene con noi a quest'ora? E il mio Consultorio non me lo poteva fissare l'appuntamento? Il panico tra quelle che secondo la 'regola del cinque' saranno escluse è visibile. Un'altra cerca di rassicurare: "ma no.. a volte prendono anche le prime dieci". Torna un po' di speranza. Si riprende a chiacchierare, si parla di contraccezione, di spirale o di impianto sottocutaneo. Mi dicono che lo mettono mentre si dorme, che è un buon sistema, io non ne sapevo nulla, e nemmeno il mio consultorio.
Alle otto meno un quarto arriva un altra donna. La decima. E' con il marito e i suoi tre figli.
Ora iniziano ad arrivare più numerose, alle otto meno cinque siamo in 18.
Alzo gli occhi per guardare il cielo, siamo all'ingresso di un sottoscala, da sopra degli uomini e dei bambini ci guardano incuriositi. Le donne parlano. Una dice che deve fare un terapeutico, ha un bambino malato, sta per piangere. Un'altra è alla dodicesima settimana e quindi, anche se arrivata tardi, è sicura che le faranno l'intervento. Un'altra dice che qualche giorno prima quella porta si è aperta, si è affacciato un signore che ha contato fino a dieci ed ha mandato via tutte le altre. Io non ci posso credere che stia davvero succedendo. Che stia succedendo a me. Che stia succedendo a noi. E se ti mandano via torni la mattina dopo? ti metti di nuovo in fila?
Le donne arrivate per prime ora stanno proprio attaccate alla porta, per non farsi prendere il posto da quelle arrivate dopo, io dovrei attaccarmi a loro, già qualche donna arrivata dopo di me tenta di passarmi avanti.
Siamo tutte qui, esposte agli sguardi dei passanti. Qualcuno ci osserva con un'espressione colpevolizzante, altri sguardi, invece, sono di solidarietà. Ma forse mi sbaglio e pensano solo ai fatti loro. Sta di fatto che sto malissimo.
Mi chiama il mio ragazzo, io cedo e scappo. Non gliela faccio proprio ad aspettare che si apra quella porta.
Non ce la faccio a spingermi con altre donne che stanno male come me per non farle passare.
Tornerò domani, ora so cosa mi aspetta. Dormirò qui a Roma da un'amica e domani tornerò da veterana, mi farò accompagnare dalla mia amica. Mentre mi avvio incrocio lo sguardo di altre donne che stanno arrivando.
Sono stanca di stare in piedi, ho sonno e nausea. Vorrei tanto non esistere, addormentarmi e cadere nell'oblio.
Non posso, devo lavorare, devo andare avanti.
Cara Vita di Donna, per favore, fai sì che Zingaretti trovi una soluzione a questa terribile cosa.
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Finalmente a Roma si può abortire a casa!
29 giugno 2014